giovedì 15 agosto 2013


Due doverose chiarificazioni in merito al video "Bruttezze d'Italia. Grand Tour" in risposta a un commento alquanto provocatorio

Michele Lasala

1) In questo video ho incluso tra le bruttezze d'Italia non certo l’Ara Pacis, che è uno degli esempi più belli di architettura e scultura dell’arte romana, ma piuttosto la struttura architettonica che la circonda, la quale avrebbe – secondo le intenzioni dell’architetto Richard Meier – la funzione di preservare e proteggere il monumento romano da chissà quali pericoli esterni o atmosferici. La teca avrebbe dunque la funzione di sala museale. Un’idea bizzarra oltre che paradossale, se si pensa al fatto che Roma è di per sé un museo, non certo imprigionato all’interno di asettiche parteti dalle finestre di vetro, ma un museo en plein air. Secondo questa concezione, quindi, si dovrebbero realizzare tante teche quanti sono i monumenti romani. Ma si potrebbe ancora, perché no, estendere utopisticamente il modello dell’Ara Pacis a tutti i monumenti di Italia, coprendo così di cemento tutta la bellezza di cui siamo in possesso. In verità Meier ha agito – secondo il mio modesto modo di vedere – in base all’assurdo principio secondo cui l’architetto contemporaneo deve essere libero di esprimere la sua, chiamiamola così, arte, o semplicemente idea estetica, ovunque; anche in luoghi dove non c’è bisogno effettivamente di interventi architettonici aggiuntivi o integrativi. L’architetto contemporaneo, in ossequio al folle principio della modernità, avrebbe così la piena libertà di disporre anche dei luoghi storici per imporre il suo cattivo gusto estetico attraverso la realizzazione di inutili strutture, danneggiando l’estetica e l’identità dei luoghi stessi. E con esse la memoria della nostra civiltà. Purtroppo, dopo l’esperienza dell’arte Dada, e l’esaltazione del banale quale nuovo oggetto estetico o artistico che vede impegnati artisti come Marcel Duchamp, Max Ernst, Francis Picabia, Man Ray, e più tardi Piero Manzoni con il neodadaismo, nella direzione sempre più decisa di rompere col passato e con la tradizione artistica, il nostro gusto estetico si è formato sull’idea del brutto e non più del bello, a tal punto che paradossalmente nell’arte moderna e contemporanea il brutto viene considerato bello. E viceversa. Piero Manzoni con la sua “merda d’artista” non soltanto ha espresso una idea di mercificazione e di oggetto di consumo che soggiace alla concezione stessa dell’opera d’arte contemporanea, ma ha voluto soprattutto far capire come il nome dell’artista sia più importante della sua opera, a tal punto che anche una scatola di merda può diventare a tutti gli effetti un’opera d’arte, dal momento che reca la firma di “Piero Manzoni” o comunque di qualche altro artista. Ecco, questo è quello che oggi accade, il nome vale più dell’opera realizzata, e quello dell’architetto Meier è – pare di capire – un marchio di qualità. 

2) Il teatro degli Arcimboldi fu costruito tempo fa (negli anni tra il ’97 e il 2000) per sostituire il Teatro alla Scala. E questo a causa dei lavori di restyling che in quegli anni si stavano facendo all’interno del più noto teatro milanese. Col passare del tempo l’Arcimboldi ha assunto sempre più un ruolo di rilievo, tanto da essere un punto di riferimento per molti artisti e amanti della musica. Ma al di là di questo, ciò che colpisce è la architettura in sé. E’ un inno al cattivo gusto che offende non solo la città di Milano (già di per sé deturpata e violata da altri nomi illustri dell’architettura contemporanea) ma anche la sensibilità di quanti vorrebbero vedere una bella architettura per un luogo destinato ad accogliere l’arte e la musica. Certamente Vittorio Gregotti è un ottimo architetto, ha curato nei minimi dettagli l’acustica. Su questo non c’è dubbio. Ma perché rinunciare alla bellezza o alle belle forme? Perché rinunciare all’idea di poter armonizzare bellezza e funzionalità? Gli architetti contemporanei diano uno sguardo al passato e prendano esempio da Filippo Brunelleschi, da Leon Battista Alberti o da Donato Bramante. E non si facciano prendere troppo dalla euforia di poter giocare liberamente con le forme e di creare mostri architettonici in vetro, metallo e cemento. Siano più rispettosi dei luoghi. E soprattutto siano più sensibili alla memoria e alla storia della nostra civiltà.



Nessun commento:

Posta un commento

Vincent Van Gogh. La sofferenza e la solitudine tra cieli notturni e fiori di lillà Decrease Font Size Increase Font Size Text Size Stam...