venerdì 30 agosto 2013

La metafisica di De Chirico. Il mistero e l’inquietudine nella pittura dell’enigma


La metafisica di De Chirico. Il mistero e l’inquietudine nella pittura dell’enigma
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di Michele Lasala
L’elemento dominante nelle opere metafisiche di Giorgio De Chirico è con ogni evidenza il mistero, e questo perché in esse la realtà si trasfigura emblematicamente nel suo opposto, lasciando l’uomo in uno stato di dubbio e di sospensione. Gli oggetti di sempre, gli oggetti della quotidianità perdono improvvisamente ogni loro valenza; e conseguentemente la perdita di senso del mondo lascia il posto all’oscuro abisso dell’inquietudine. Le cose rappresentate nei quadri di De Chirico non hanno infatti nessun significato, non esistono per dire qualcosa, non comunicano nulla al di là della loro angosciante insensatezza. Ed è proprio questa, l’insensatezza, la chiave ermeneutica per poter meglio comprendere tutta la ricerca metafisica dechirichiana, un elemento che affonda evidentemente le sue radici nella filosofia umana, troppo umana di Friedrich Nietzsche, lo “scriba del caos”. De Chirico ad un certo punto confesserà: «Fu in quell’occasione che, durante un viaggio che feci a Roma in ottobre, dopo aver letto le opere di Nietzsche, mi accorsi che c’è una quantità di cose strane, sconosciute, solitarie, che possono essere tradotte in pittura. Riflettei a lungo. Così ho cominciato ad avere le prime rivelazioni. Disegnavo meno, avevo anzi un po’ dimenticato, ma ogni volta che lo facevo mi sentivo spinto da una necessità. Capii allora certe sensazioni vaghe che prima non mi spiegavo. Il linguaggio che a volte le cose hanno in questo mondo; le stagioni dell’anno e le ore del giorno. Le epoche della storia, anche quelle. – La preistoria, le rivoluzioni del pensiero attraverso i secoli, le epoche classiche, il medioevo, i tempi moderni, tutto mi appariva più strano e più lontano. Non c’erano più soggetti nella mia immaginazione, le mie composizioni non avevano alcun senso e soprattutto alcun senso comune, sono calme». E poi, come fosse veramente un filosofo contemporaneo sulla scia del pensiero nichilista, scrive: «Ci vuole soprattutto una grande sensibilità. Rappresentarsi tutte le cose del mondo come enigmi, non soltanto le grandi domande che ci si è sempre posti – perché il mondo è stato creato, perché nasciamo, viviamo e moriamo – in quanto forse come ho già detto in tutto questo non c’è alcuna ragione».
LA GRANDE RIVELAZIONE – De Chirico scrive queste righe nel 1913, quando è ancora a Parigi, e racconta del suo viaggio romano compiuto nel 1906, lo stesso anno in cui lascia la patria, la Grecia, e arriva in Italia, dove visiterà inoltre Milano e poi Venezia. Ma è Roma la città della grande “rivelazione”, la città in cui il pittore avverte quella strana ed enigmatica atmosfera che modificherà enormemente il suo stato d’animo rispetto alla realtà, a tal punto che egli chiamerà questa singolare esperienza col termine tedesco Stimmung, direttamente preso in prestito dal lessico romantico. E come per un poeta o filosofo romantico, Roma è per Giorgio De Chirico la città del sogno, la città in cui tutto appare sotto una luce diversa, rivelatrice, surreale. Per De Chirico la realtà deve essere guardata con occhi diversi, deve essere percepita con una sensibilità nuova. Non c’è nulla da comprendere, capire, per De Chirico. Tutto rappresenta un enigma, una domanda; e l’uomo, in questa nuova dimensione, si accorge tragicamente di esser sospeso nel vuoto di una realtà priva di fondamento. Lo sgretolamento dell’essere lascia spazio al volto amorfo e inespressivo del nulla, che riflette le sembianze del volto inquieto dell’uomo contemporaneo. È il velo di Maya che è stato finalmente strappato dagli occhi dell’uomo illuso.
L’ENIGMA DEL TEMPO – È proprio a Roma che Giorgio De Chirico concepisce la pittura metafisica, non intendendola ancora però come avanguardia, come movimento artistico, ma come tentativo del tutto individuale di rappresentare le cose in modo diverso, nuovo. Subito dopo infatti, nel 1910, comincia a dipingere i primi quadri metafisici. A questo stesso anno risale un quadro come L’énigme de l’heure (L’enigma dell’ora), opera oggi conservata a Milano nella Collezione Mattioli. Qui tutto è fermo, persino le lancette dell’orologio che segnano le 14:54 sembrano essersi fermate. A rendere più inquietante l’atmosfera di fissità e di attesa sono anche le lunghe ombre che si addensano sulla piazza antistante l’edificio porticato, probabilmente una stazione ferroviaria. La presenza dell’uomo vestito di bianco inoltre davanti all’imponente edificio rafforza ancora di più il senso di mistero che permea tutta la scena: l’uomo è come se fosse in attesa di qualcosa che mai accadrà, perché il tempo pare essersi emblematicamente fossilizzato, bloccandosi per sempre in quell’ora, in quel minuto. Un attimo divenuto eternità. Due anni più tardi De Chirico dipinge La nostalgia dell’infinito (New York, The Museum of Modern Art): è il quadro che inaugura la serie delle “torri”. Una grande torre bianca piramidale infatti campeggia in quest’opera, sovrastando con la sua imponenza le due figure umane che passeggiano ai suoi piedi. È una cattedrale moderna, senza più spirito, senza più Dio, ma comunque capace di ridestare nell’uomo il senso dell’infinito in virtù della sua forma che si eleva potentemente verso il cielo, come a suggerire una dimensione altra rispetto a quella finita e mondana.
LA METAFISICA – Nel 1915 l’Italia entra in guerra e De Chirico è chiamato alle armi; verrà destinato a Ferrara, dove incontrerà Filippo de Pisis e Corrado Govoni. L’anno dopo però si fa ricoverare all’ospedale militare della città estense “Villa del Seminario”, e in questa circostanza avviene l’incontro con Carlo Carrà. Nasce ufficialmente la Metafisica. Il manifesto pittorico di questa nuova avanguardia italiana, una delle più importanti del secolo XX, è Le Muse inquietanti (Milano, Collezione Mattioli). Sullo sfondo è riconoscibile il castello di Ferrara, in primo piano invece due misteriose figure, a metà strada tra i manichini di una sartoria e le statue di un edificio classico greco. Ai loro piedi sono disposti degli oggetti che rimandano ai giochi dell’infanzia, di quell’età che perdura solo nella nostra memoria e che disturba tacitamente la nostra coscienza, angosciando il nostro io.
UNA PITTURA INTERIORE E CEREBRALE – Le muse di De Chirico inquietano perché non ispirano più nulla, né arte, né musica, né poesia. Sono mute nella loro insensatezza. Come muto e insensato è il mondo che le circonda. Le risposte alla nostra esistenza le dobbiamo cercare allora solo dentro di noi, nel sottosuolo della nostra coscienza, nella nostra memoria, nella nostra interiorità. E’solo da qui che può nascere una nuova poesia, una nuova arte, e un rinnovato senso della realtà;  non più guardando fuori e al di là degli orizzonti del nostro io. E la pittura diventa così “intérieure” e “cérébrale”, così come ebbe a scrivere lucidamente in riferimento proprio alla pittura metafisica ed enigmatica di De Chirico, il poeta francese Guillaume Apollinaire. Interiore e cerebrale è la pittura metafisica, e non narrativa. De Chirico in effetti in tutta la stagione metafisica non ha raccontato nulla, non ha detto nulla. Non ha narrato storie, non ha descritto ambienti o situazioni, non ha rappresentato scene di vita quotidiana. Ha solo lasciato che il mondo si mostrasse per quello che è: un mistero tra l’essere e il nulla.
LE MOSTRE – Giorgio De Chirico e il ritratto, Montepulciano (Siena), Fortezza poliziana, dall’ 8 giogno al 30 settembre; Giorgio de Chirico. Mistero e poesia, Otranto (Lecce), Castello aragonese, dall’ 8 giugno al 29 settembre.
Giorgio De Chirico, "Le Muse inquietanti", 1916, Milano, Collezione Mattioli
Giorgio De Chirico, “Le Muse inquietanti”, 1916, Milano, Collezione Mattioli

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